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Uno dei suoi padroni lo sentì gridare e lo chiamò. Egli si svegliò, e sve-
gliandosi gli parve di vedere vicino a sé la ragazzetta col cappellone e col
fermaglio; ma sotto le falde rovesciate c'era, invece della testa di Speranza, il
viso, gli occhi provocanti, il sorriso voluttuoso di Eva.
Il cuore gli batté tutta la notte, e fu durante quelle ore d'insonnia ch'egli
immaginò di offrire un dono alla fanciulla, poiché ella aveva detto a parec-
chie ragazze, che il suo innamorato di Milano le aveva regalato tante cose
belle.
 Io ti farò un regalo,  egli le disse appena la rivide,  ti darò una cosa
più bella e più preziosa di tutte le cianfrusaglie che ti ha dato l'altro... Un og-
getto d'oro... Tu non credi!  egli esclamò vedendola sorridere.  Tu credi
che io non possa avere un oggetto d'oro? È l'unica cosa che ho; era di mia
madre.
Eva sorrise ancora: non gli chiese perché non gliene aveva parlato prima,
perché non glielo aveva regalato prima, quell'oggetto d'oro: a che avrebbe
servito questa domanda? Il passato era tanto lontano! Ella guardò Francesco,
e vedendolo così giallo, così magro, col viso osseo che già sembrava il viso
d'uno scheletro pensò:
 Fra poco egli morrà; è meglio che l'anello (ella s'immaginava fosse un
anello) lo dia a me. Tanto, a chi lo lascia?
E gli sorrise, ed egli, ancora, spinto da una forza irresistibile, aprì le braccia
per stringere quella che non era più la sua piccola Eva timida; ma ella lo re-
spinse, senza offendersi, senza cessare di sorridere.
 Regalami dunque quell'oggetto  gli disse.  Dammelo prima che ri-
parta. Poi...
 Dove? Qui?
 No: ti dirò io dove. Verrò dai Magrini, domani, e se ti vedrò, ti dirò do-
ve potremo vederci.
Ora egli aspettava, nel portico ingombro di saggina. Provava la stessa in-
quietudine soffocante che aveva provato in sogno, quando gli era parso di at-
tendere Eva seduto sull'asse della barca abbandonata. Sarebbe venuta? Dove
gli avrebbe detto di andare? Dove? Il posto del convegno lo preoccupava
stranamente; egli cercava di pensare soltanto a ciò, forse anche per sfuggire al
pensiero di ciò che doveva avvenire, perché questo pensiero gli straziava il
cuore. Eppure, tutta la sua vita, ormai, tutto il po' di vita che gli restava, era
concentrato nel desiderio angoscioso dell'attimo di piacere promesso dal sor-
riso di Eva. Egli non s'illudeva molto; sentiva, sapeva ch'ella non gli avrebbe
promesso niente senza la speranza del regalo; ella si sarebbe venduta a lui,
come a qualsiasi altro; ma appunto questa certezza lo faceva morire di dolo-
re.
Quando però la vide arrivare, nel silenzio del meriggio, col viso ardente
come una rosa rossa, Francesco ebbe quasi vergogna delle sue speranze. Non
era possibile. Ella sembrava una signora, con l'ombrellino rosso, con la colla-
na di perle gialle e le sottane guarnite di merletto.
Egli lasciò cadere la scopa, vergognandosi che Eva lo avesse trovato a cuci-
re l'umile arnese, e si alzò piano piano.
Ella si fermò sulla porta, sbatté uno dopo l'altro i piedi per toglier la polve-
re dalle scarpette gialle, poi chiuse l'ombrellino.
 Non c'è nessuno, qui?
Francesco, pallidissimo, ebbe paura che ella gli dicesse a voce alta in qual
posto dovevano vedersi, e accennò alla camera della vecchia, dove Speranza
era poco prima entrata con la scodella piena di vino.
 Vieni stasera, verso le nove, sull'argine, sopra la fuga [13]  disse Eva a
bassa voce: poi entrò nella camera, e chiacchierò con la vecchia nonna, che
profittò della visita per pregare "viscere belle" di portare altre due scodelle di
vino.
La fanciulla e la vecchia rimasero sole nella camera; Francesco, appoggiato
alla porta, sentiva il suo cuore battere dolorosamente.
La notte calava, scura e dolce come un velluto. L'acqua spegnevasi, diven-
tava incolore sotto il cielo incolore. Dai boschi cedui, dalle macchie della riva,
aggrovigliate, simili a nuvole ferme sull'ultima linea ancora argentea dell'o-
rizzonte, saliva un profumo caldo e snervante. Tintinnii di sonagli sull'argi-
ne, e il fragore lontano d'un molino interrompevano il silenzio profondo del-
la riva.
Disperazione attraversò l'argine, scivolò per la china fresca d'erba umida e
andò a ficcarsi in una macchia di salici; là, curva, piegata in due, cominciò a
frugare e a scavare tra la sabbia, seppellendovi accuratamente cinque uova
più grosse del suo pugno. Ella contava di riprenderle il venerdì seguente e
portarle alla fiera di Viadana. Cinque e tre che ce n'erano già, facevano otto;
otto uova, sei palanche [14]: sei palanche rappresentavano prima di tutto un
africano, da leccarsi prima e poi da mangiarsi a pezzettini, a pezzettini picco-
lini come l'unghia del mignolo, oppure tutto in un boccone; poi due soldi di
tabacco da naso, e due soldi di riserva. Disperazione faceva sempre un gran-
de uso di tabacco: il perché di questa passione nessuno avrebbe saputo spie-
garlo, tanto più che il piacere non consisteva, per lei, nell'odore del tabacco, [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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